Come calcolare l’avviamento di un’azienda.
Quando si parla di azienda e impresa, si tende spesso ad usare in maniera impropria questi due termini, in quanto considerati sinonimi. Un’attività imprenditoriale, infatti, è qualsiasi attività economica svolta in maniera professionale da un imprenditore (come definito dall’articolo 2082 del Codice Civile). L’azienda, di contro, “è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa“, secondo quanto disposto dall’articolo 2555 del Codice Civile. Uno degli elementi più significativi e caratterizzanti dell’azienda è l’avviamento (‘goodwill’, in inglese): vediamo di seguito di cosa si tratta.
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L’avviamento, cosa si intende?
Nell’ordinamento giuridico italiano, non esiste alcuna definizione precisa di ‘avviamento‘, benché questa nozione sia presente e citata in diversi articoli del Codice Civile. Secondo l’edizione digitale dell’Enciclopedia Treccani, l’avviamento è “il valore peculiare di un’azienda di successo, che non è direttamente identificabile con uno o più specifici elementi che la compongono“, ovvero “il maggior valore attribuibile a un’impresa rispetto alla somma dei valori dei singoli fattori produttivi“. In altri termini, l’avviamento è un surplus di valore immateriale in grado di differenziare un’azienda appena costituita da una “avviata”: quest’ultima, infatti, sarà in grado di produrre reddito nel corso del tempo, specie se “ben avviata”.
Esistono, in genere, due tipi di avviamento aziendale: quello derivativo e quello originario. Il primo viene acquisito a titolo oneroso, il secondo invece è generato direttamente dallo sviluppo delle attività aziendali. L’avviamento può essere anche oggettivo (se determinato solo sulla base dei beni che formano l’azienda) e soggettivo (se derivante dalle capacità gestionali dell’imprenditore). In sintesi, l’avviamento è sostanzialmente una caratteristica dell’azienda, il cui valore può essere quantificato come positivo (goodwill) o negativo (badwill).
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Ammortamento
L’avviamento può essere oggetto di ammortamento. Lo stabilisce l’articolo 2426 del Codice Civile (“Criteri di valutazione”): “l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto. L’ammortamento dell’avviamento è effettuato secondo la sua vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimarne attendibilmente la vita utile, è ammortizzato entro un periodo non superiore a dieci anni. Nella nota integrativa è fornita una spiegazione del periodo di ammortamento dell’avviamento“.
In sostanza, il costo dell’avviamento (che non sussiste nel caso in cui questo sia originario) può essere ammortizzato per un massimo di dieci anni: questa pratica è applicabile ai bilanci dall’anno solare 2016 in poi (mentre in precedenza il periodo massimo di ammortamento era di cinque anni). La ‘vita utile’ dell’avviamento viene, in genere, stimata dagli amministratori dell’azienda.
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La tassazione per la cessione
Oltre che ad ammortamento, l’avviamento può essere soggetto anche a tassazione, nel caso in cui l’azienda venga ceduta. In realtà, sarebbe più corretto parlare di tassazione della plusvalenza derivata dalla cessione dell’azienda; secondo quanto stabilito dall’articolo 86 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) “concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso“. È bene ricordare come la plusvalenza consista nella differenza tra il costo riconosciuto e il corrispettivo concordato per la cessione dell’azienda.
La plusvalenza può essere tassata in una soluzione unica all’interno del bilancio di esercizio all’interno della quale è stata realizzata. In alternativa la tassazione può essere rateizzata in cinque soluzioni del medesimo importo, se l’azienda è stata acquisita da almeno tre anni. L’articolo 58 del TUIR stabilisce, al comma 1, dispone che per “le plusvalenze derivanti da cessione delle aziende, le disposizioni del comma 4 dell’articolo 86 non si applicano quando è richiesta la tassazione separata“. Quest’ultima è accessibile solo quando se ne fa richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta.
In realtà va anche sottolineato come, in ambito internazionale, l’atteggiamento della fiscalità verso l’avviamento sia diverso da quello che si rintraccia nell’ordinamento italiano. In altre parole, in diversi paesi non lo si considera come un parametro suscettibile di ammortamento ma si sottopone ad una verifica periodica (impairment test) per riscontrare eventuali perdite di valore nel corso degli anni.
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Obblighi
In presenza di un processo di cessione di un’azienda subentrano, sia per il compratore che per il venditore, degli obblighi ben precisi. Il primo è il “divieto di concorrenza“, disciplinato dall’articolo 2557 del Codice Civile: “chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta“. Tale divieto vine formulato sotto forma di accordo scritto (il cosiddetto “patto di non concorrenza“, anch’esso regolamentato da c.c.), la cui durata massima può essere di cinque anni.
Per quanto riguarda gli obblighi dell’acquirente, vi è quello della “successione dei contratti” (secondo le disposizioni contenute nell’articolo 2558 del Codice Civile); il dispositivo stabilisce che, ad eccezione dei contratti personali, l’acquirente subentra negli accordi stipulati per la gestione dell’azienda.
Per quanto riguarda la cessione dei crediti, si fa riferimento a quanto stabilito dall’articolo 2559 del Codice Civile: “ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese“, anche in assenza di notifica al debitore il quale, se paga l’alienante in buona fede, è libero dai propri oneri. In caso di cessione con usufrutto dell’azienda, se quest’ultimo si estende anche ai crediti, valgono le medesime disposizioni sopra citate. A tal proposito, l’articolo 2560 dispone che “l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito“.
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Chi fa la valutazione
Per via dei risvolti fiscali (e non solo) che può avere l’avviamento nelle procedure di cessione di un’azienda, determinarne correttamente il valore è molto importante. Come detto, si tratta di un fattore immateriale che può comunque essere calcolato applicando una semplice formula: patrimonio netto (compresi i beni strumentali) – valore contabile: se il risultato è positivo (maggiore di zero), l’avviamento è positivo, altrimenti ci si trova in presenza di un avviamento negativo.
La stima del valore dell’avviamento aziendale deve essere affidato ad una figura qualificata, in genere un perito esterno all’azienda oggetto della valutazione (in modo tale da assicurare terzietà ed imparzialità tra compratore e venditore), o una qualsiasi altra figura professionale in possesso delle competenze necessarie per effettuare una disamina delle informazioni dalle quali desumere la stima del valore dell’avviamento. La valutazione può essere eseguita in diversi modi, prendendo come parametro di partenza il redditto, il patrimonio o entrambi (metodo misto); sistemi alternativi di valutazione sono quello finanziario e “il metodo dei multipli”, che consiste nel mettere in relazione i dati inerenti all’azienda con una serie di specifici fattori economici. Se la valutazione viene effettuata dall’autorità finanziaria, i parametri di applicazione e di validità dell’accertamento all’adesione del maggior valore sono contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 460 del 31 luglio 1996.