Non Solo Macchinari – Logic Bid https://www.logicbid.com/blog Tutte le news sul mondo delle aste giudiziarie dedicate al settore industriale e non solo. Resta aggiornato su tutte le novità Thu, 30 Apr 2020 11:13:51 +0000 it-IT hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.2.21 Confezionamento alimenti, cosa sapere https://www.logicbid.com/blog/confezionamento-alimenti/ Thu, 30 Apr 2020 11:13:51 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=843 Cosa sapere sul packaging degli alimenti. Il settore alimentare è uno dei comparti più importanti dell’economica nazionale; esso coinvolge numerose filiere produttive ed incide in maniera significativa sul volume complessivo di esportazioni (specie per quanto concerne alcuni prodotti di eccellenza del Made in Italy). Uno dei segmenti ‘conclusivi’ della filiera di produzione agroalimentare, ossia il confezionamento (o packaging) ha assunto, negli ultimi anni, un’importanza sempre maggiore, dal momento che le norme igienico-sanitarie relative al settore ...

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Cosa sapere sul packaging degli alimenti.

Il settore alimentare è uno dei comparti più importanti dell’economica nazionale; esso coinvolge numerose filiere produttive ed incide in maniera significativa sul volume complessivo di esportazioni (specie per quanto concerne alcuni prodotti di eccellenza del Made in Italy). Uno dei segmenti ‘conclusivi’ della filiera di produzione agroalimentare, ossia il confezionamento (o packaging) ha assunto, negli ultimi anni, un’importanza sempre maggiore, dal momento che le norme igienico-sanitarie relative al settore agroalimentare (inerenti alle attività di produzione, distribuzione, trasformazione e somministrazione) si sono fatte via via più stringenti. Vediamo di seguito quali sono le disposizioni attuate dalle norme in vigore e quali sono le principali procedure di confezionamento alimenti.

  • La normativa

Le norme relative al confezionamento degli alimenti includono due Regolamenti della Comunità Europea (con annesse linee guida) e una norma nazionale di riferimento. Il principio generale di base, condiviso dai legislatori nazionali e comunitari, è quello di favorire la tracciabilità del prodotto, fornendo al consumatore informazioni chiare e precise circa l’origine dello stesso; nel dettaglio, la normativa si fonda sui seguenti dispositivi:

Regolamento UE n. 1169 del 25 ottobre 2011, che “definisce in modo generale i principi, i requisiti e le responsabilità che disciplinano le informazioni sugli alimenti e, in particolare, l’etichettatura degli alimenti”. Il Regolamento stabilisce che la confezione alimentare deve recare, obbligatoriamente, una serie di informazioni: denominazione dell’alimento, elenco degli ingredienti, la quantità netta dell’alimento, termine minimo di conservazione (o data di scadenza), condizioni di impiego e/o di conservazione, paese d’origine dell’alimento (o luogo di provenienza), istruzioni per l’utilizzo dell’alimento, dichiarazione nutrizionale, percentuale alcolica (per bevande di gradazione superiore a 1.2%), nome o ragione sociale dell’operatore alimentare e il preciso quantitativo da alcuni ingredienti particolari. Il regolamento individua, inoltre, tutti i casi in cui una data informazione (come ad esempio il valore nutrizionale) può essere omesso e come etichettare correttamente prodotti dalle caratteristiche particolari, quale può essere la “carne ricomposta”;

– Il Decreto Legislativo n. 231 del 15 dicembre 2017 rappresenta la “Disciplina sanzionatoria per la violazione delle disposizioni del regolamento (UE) n. 1169/2011, relativo alla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e l’adeguamento della normativa nazionale alle disposizioni del medesimo regolamento“. Il dispositivo individua le misure di sanzione a carico dei soggetti responsabili delle violazioni delle disposizioni contenute nel Regolamento europeo sopra citato.

Ai due riferimenti normativi sopra citati, si aggiunge il cosiddetto “Pacchetto Igiene” che, a sua volta, comprende tre Regolamenti e la Direttiva n. 41 del 2004 (ciascun provvedimento riguarda nello specifico il trattamento dei prodotti alimentari):

Il Regolamento 852/2004 rappresenta il protocollo di riferimento per l’implementazione delle misure igienico-sanitarie necessarie per assicurare la salubrità dei processi di trasformazione e produzione;

Il Regolamento 853/2004 individua norme specifiche per il trattamento dei prodotti alimentari di sola origine alimentare;

–  Il Regolamento 854/2004 stabilisce norme specifiche per l’organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano.

  • Cosa si intende per confezionamento alimenti

La definizione di confezionamento degli alimenti è riportata all’interno del Regolamento 852/2004: “collocamento di un prodotto alimentare in un involucro o contenitore posti a diretto contatto con il prodotto alimentare in questione, nonché detto involucro o contenitore“. In altre parole, per confezionamento – o packaging – degli alimenti si intende quel processo di lavorazione industriale che culmina con l’imballaggio di una determinata quantità di prodotto (che costituisce un’unità di base di una più ampia derrata alimentare) in modo tale che possa essere destinata alla vendita, sia all’ingrosso che al dettaglio. La confezione, o l’involucro, devono essere realizzati secondo norme ben precise – per essere compatibili con un prodotto alimentare – e devono recare, in base alle caratteristiche dell’alimento confezionato, tutte le informazioni obbligatorie ai sensi del Regolamento europeo sull’etichettatura alimentare.

  • Confezionamento alimenti conto terzi

Le procedure di packaging, effettuate per mezzo di appositi macchinari ed utensili per uso industriale, possono essere implementate dall’azienda che produce direttamente il prodotto da confezionare; è anche possibile che il confezionamento venga affidato ad un operatore del settore specializzato: in tal caso, si parla di confezionamento alimentare per conto terzi.

Come si può facilmente intuire, questa procedura consiste nell’affidare ad un soggetto terzo (ovvero diverso dal produttore e dal distributore) il prodotto alimentare raccolto dai siti di produzione primaria ed affidarlo ad un operatore specializzato in packaging alimentare. Questi, per mezzo di macchinari specifici (imbustatrici, termosigillatrici, macchine per il sottovuoto, incappucciatrici e simili), collocano gli alimenti – debitamente trattati – nei contenitori e negli involucri di destinazione, predisponendo le singole unità al passaggio successivo (distribuzione e vendita). Per alcuni prodotti in particolare (legumi, cereali, caffè e simili), il soggetto terzo può anche implementare una parziale lavorazione del prodotto – come ad esempio la torrefazione o la macinatura – prima di procedere al confezionamento vero e proprio. Naturalmente, anche gli operatori terzi sono soggetti alla normativa vigente in materia di igiene e di etichettatura dei prodotti alimentari confezionati.

  • Come acquistare macchine per packaging

Per effettuare le procedure di imballaggio, come detto, servono macchinari appropriati. Questi possono essere acquistati attraverso vari canali: il principale è costituito dai rivenditori specializzati (e dai produttori stessi) di articoli nuovi; in alternativa ci si può rivolgere ad operatori di settore che si occupano della compravendita di macchinari usati. Coloro i quali vogliano, in prima persona, mettersi alla ricerca di un prodotto in grado di coniugare qualità e prezzi convenienti, possono intraprendere un’altra strada: le aste online. Si tratta di aste giudiziarie mediante le quali vengono rimessi in vendita oggetti provenienti da società in dismissione oppure in ristrutturazione. L’accesso alle gare d’asta è garantito da portali specializzati quali Logic Bid, che svolge una funzione di intermediazione. La procedura è molto semplice: il primo passo consiste nel registrarsi al sito, creando un profilo personale che rechi anche il nome di un’azienda di riferimento (che verrà indicata sulla ricevuta nel caso di aggiudicazione dell’asta). Fatto ciò, l’utente registrato può navigare le varie sezioni del sito (in particolare, le aste del settore alimentare) oppure farsi un’idea dell’offerta di mercato tramite un apposito approfondimento sulle macchine per confezionamento alimenti.

Una volta individuato il prodotto di proprio interesse, l’utente deve prendere visione delle condizioni di partecipazione alla gara d’asta – specie nel caso in cui queste prevedano il versamento di un deposito cauzionale – prima di procedere alla formalizzazione di un’offerta. Dopo aver accettato le condizioni poste dall’intermediario dell’asta, l’utente può avanzare la propria proposta d’acquisto, al prezzo che ritiene più congruo rispetto al valore del lotto; nel caso in cui l’offerta si stata recepita positivamente dal sistema, l’utente riceve una comunicazione di conferma all’indirizzo di posta elettronica indicato in fase di registrazione. Se la conferma via e-mail non dovesse pervenire all’utente entro un ragionevole lasso di tempo, è possibile che l’offerta sia stata digitata in modo errato oppure sia risultata inferiore al prezzo di riserva impostato dal venditore.

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Licenza alimentare: cos’è e come si ottiene https://www.logicbid.com/blog/licenza-alimentare-come-si-ottiene/ Fri, 17 Apr 2020 16:58:31 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=829 Come si ottiene la licenza alimentare e a cosa serve. Uno dei settori più sviluppati e radicati della nostra economia è quello alimentare. Si tratta di una filiera di vasta portata che coinvolge numerosi soggetti intermediari tra produttore e consumatore. Gli esercizi al dettaglio che fanno parte di questo ampio settore si possono dividere sostanzialmente in due grandi categorie: vendita di generi alimentari; attività di somministrazione di cibi e bevande. Nella prima categoria rientrano gli ...

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Come si ottiene la licenza alimentare e a cosa serve.

Uno dei settori più sviluppati e radicati della nostra economia è quello alimentare. Si tratta di una filiera di vasta portata che coinvolge numerosi soggetti intermediari tra produttore e consumatore. Gli esercizi al dettaglio che fanno parte di questo ampio settore si possono dividere sostanzialmente in due grandi categorie:

  • vendita di generi alimentari;
  • attività di somministrazione di cibi e bevande.

Nella prima categoria rientrano gli esercizi che vendono prodotti agroalimentari confezionati e pronti all’uso, predisposti per la vendita secondo le norme igienico-sanitarie (per non essere classificati come rivenditori all’ingrosso, tali esercizi hanno sede in locali di estensione limitata a 250 metri quadri); nella seconda, invece, rientrano tutte quelle attività d’impresa – come ad esempio bar, ristoranti, pub, pizzerie e gastronomie artigianali – autorizzate a somministrare pietanze preparate all’interno dei locali dell’azienda. Per avviare un’attività di questo tipo è necessario essere in possesso di determinati requisiti (sia di natura morale che professionale) e, al contempo, produrre una specifica documentazione che include la cosiddetta “licenza alimentare“: vediamo di seguito di cosa si tratta e come si può ottenere.

• Cos’è la licenza alimentare

Per “licenza alimentare” in genere si intende l’autorizzazione necessaria all’esercizio di un’attività come quelle elencate in precedenza. Nello specifico, questa espressione ufficiosa e un po’ generica – che non trova alcun riscontro nell’ordinamento italiano – può essere usata per indicare:

  • l’autorizzazione rilasciata dal comune di competenza per l’inizio della propria attività commerciale; viene detta per lo più “licenza commerciale”;
  • la certificazione professionale che abilita all’esercizio della somministrazione di cibi e bevande (certificazione SAB).

Il primo documento rappresenta un requisito standard per iniziare un’attività  sul territorio comunale; il secondo, invece, è un attestato professionale da conseguire nel caso in cui il soggetto non abbia maturato i requisiti professionali adeguati allo svolgimento dell’attività di vendita o di somministrazione di cibi e pietanze.

Una licenza commerciale o professionale per attività da svolgere nel settore alimentare non va confusa con la certificazione HACCP: l’acronimo inglese identifica un piano strutturale che si basa su sette principi, elencati nella pagina di riferimento del sito ufficiale del Ministero della Salute; qui si legge come “l’obiettivo principale è istituire un sistema documentato con cui l’impresa sia in grado di dimostrare di aver operato in modo da minimizzare il rischio“. L’HACCP, a sua volta, non va confuso, con l’autocontrollo, che consiste in una responsabilizzazione di tutti gli operatori nello svolgimento dei propri compiti.

• A cosa serve

L’attestato professionale SAB fa parte della documentazione necessaria all’avvio di un’attività merceologica del settore agro-alimentare e della somministrazione di cibi e bevande; non è indispensabile per coloro i quali sono in possesso di specifici titoli di studio o requisiti professionali.

Nel caso in cui un imprenditore senza esperienza voglia intraprendere un’attività di impresa nel settore della ristorazione (o affini), la licenza alimentare conseguita dopo un corso SAB – del quale parleremo in maniera più diffusa nel paragrafo seguente – non ha soltanto una funzione burocratica. Il corso, infatti, fornisce la preparazione necessaria – sia teorica che pratica – ad intraprendere una nuova attività di questo tipo.

Dal punto di vista burocratico, invece, la certificazione professionale SAB integra la documentazione da produrre per intraprendere l’iter amministrativo che bisogna affrontare per poter avviare un esercizio di vendita al dettaglio o di somministrazione alimentare; nello specifico, gli adempimenti burocratici sono i seguenti:

  • Apertura di una partita IVA (personale o per una società);
  • Iscrizione del nuovo ente all’INPS;
  • Iscrizione all’INAIL;
  • Presentazione della SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività), ossia un modulo di autocertificazione da presentare al comune in cui avrà sede l’esercizio commerciale;
  • Presentazione della Comunicazione Unica, per via telematica, alla Camera di Commercio competente per il territorio;
  • Presentazione della licenza commerciale: va richiesta all’ufficio del Commercio del Comune di competenza ed è l’autorizzazione allo svolgimento di un’attività commerciale sul territorio comunale. Viene rilasciata se il richiedente è in possesso dei requisiti morali e personali necessari e spesso si associa ad autorizzazioni di carattere edilizio: viene rilasciata quando si accerta il rispetto delle norme comunali in materia di polizia pubblica;
  • Iscrizione al CONAI;
  • Ottenimento dell’autorizzazione ad esporre la propria insegna.

Il costo complessivo degli adempimento sopra descritti – pur variando a seconda del luogo di riferimento – oscilla tra i 4000 ed i 6000 euro, ai quali vanno ovviamente aggiunti i costi di gestione dei locali, la manodopera (stipendi e adempimenti previdenziali) e l’approvvigionamento delle materie prime. Molto importanti sono anche i costi relativi alle operazioni di manutenzione per assicurare gli standard di idoneità logistica ed igienico sanitaria dei locali in cui si svolgono le attività di vendita, trasformazione e/o somministrazione dei prodotti alimentari. Per richiedere assistenza in merito alla documentazione da presentare è possibile rivolgersi al SUAP, lo Sportello Unico delle Attività Produttive.

• Come si ottiene

In realtà, si è già accennato al fatto che non esiste un documento che sia ufficialmente denominato “licenza alimentare”; ciò nonostante, esistono autorizzazioni ufficiali corrispondenti, ben identificate dalle normative vigenti. Per gli imprenditori che si approcciavano a questo settore, fino al 1998 esisteva il REC (Registro Esercenti Commercio). Quest’ultimo è stato poi sostituito da un corso denominato SAB (Somministrazione Alimenti e Bevande). Il corso, qualora frequentato con esito positivo, consente di ottenere un certificato che abilita all’esercizio di qualsiasi attività merceologica del settore alimentare; i corsi sono organizzati su base locale (possono essere competenza delle Regioni, delle Provincie, dei Comuni o di altri enti privati ai quali possono essere appaltati). Le caratteristiche e la struttura del corso variano a seconda dell’ente che lo organizza ma, in genere, esso prevede cento ore di lezione e un esame finale (il costo medio si aggira tra i 600 e gli 800 euro): se superato con esito positivo, consente al candidato di ricevere l’attestato professionale SAB, rilasciato dalla Commissione regionale (o dall’ente che ha organizzato le lezioni).

Per quanto riguarda il contenuto delle lezioni che compongono i corsi di formazione, esso comprende in genere varie materie, che spaziano dalla disciplina legislativa di settore (norme nazionali e locali) a quella della previdenza sociale, passando per le norme igienico sanitarie, le tecniche di marketing e comunicazione, la promozione della propria attività, le prescrizioni riguardanti la sicurezza sul lavoro e, ovviamente, le tecniche di ristorazione.

Come già accennato, l’attestato SAB è necessario nel caso in cui manchino i requisiti professionali individuati dall’articolo 71 del decreto legislativo n. 59 del 2010:

  • esperienza di due anni, anche non continuativa, maturata nel corso del precedente quinquennio, nel settore alimentare o on attività di somministrazione di alimenti e bevande, in qualità di dipendente qualificato, addetto alla preparazione o socio;
  • conseguimento di un titolo di studio (diploma di scuola superiore o laurea) in materie inerenti al commercio, alla preparazione od alla somministrazione degli alimenti;
  • essere già iscritto al REC (oggi abolito) oppure aver sostenuto con esito positivo il relativo esame.

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Calcolo avviamento azienda, come si fa? https://www.logicbid.com/blog/calcolo-avviamento-azienda/ Fri, 03 Apr 2020 17:45:03 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=811 Come calcolare l’avviamento di un’azienda. Quando si parla di azienda e impresa, si tende spesso ad usare in maniera impropria questi due termini, in quanto considerati sinonimi. Un’attività imprenditoriale, infatti, è qualsiasi attività economica svolta in maniera professionale da un imprenditore (come definito dall’articolo 2082 del Codice Civile). L’azienda, di contro, “è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa“, secondo quanto disposto dall’articolo 2555 del Codice Civile. Uno degli elementi più significativi e ...

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Come calcolare l’avviamento di un’azienda.

Quando si parla di azienda e impresa, si tende spesso ad usare in maniera impropria questi due termini, in quanto considerati sinonimi. Un’attività imprenditoriale, infatti, è qualsiasi attività economica svolta in maniera professionale da un imprenditore (come definito dall’articolo 2082 del Codice Civile). L’azienda, di contro, “è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa“, secondo quanto disposto dall’articolo 2555 del Codice Civile. Uno degli elementi più significativi e caratterizzanti dell’azienda è l’avviamento (‘goodwill’, in inglese): vediamo di seguito di cosa si tratta.

  • L’avviamento, cosa si intende?

Nell’ordinamento giuridico italiano, non esiste alcuna definizione precisa di ‘avviamento‘, benché questa nozione sia presente e citata in diversi articoli del Codice Civile. Secondo l’edizione digitale dell’Enciclopedia Treccani, l’avviamento è “il valore peculiare di un’azienda di successo, che non è direttamente identificabile con uno o più specifici elementi che la compongono“, ovvero “il maggior valore attribuibile a un’impresa rispetto alla somma dei valori dei singoli fattori produttivi“. In altri termini, l’avviamento è un surplus di valore immateriale in grado di differenziare un’azienda appena costituita da una “avviata”: quest’ultima, infatti, sarà in grado di produrre reddito nel corso del tempo, specie se “ben avviata”.

Esistono, in genere, due tipi di avviamento aziendale: quello derivativo e quello originario. Il primo viene acquisito a titolo oneroso, il secondo invece è generato direttamente dallo sviluppo delle attività aziendali. L’avviamento può essere anche oggettivo (se determinato solo sulla base dei beni che formano l’azienda) e soggettivo (se derivante dalle capacità gestionali dell’imprenditore). In sintesi, l’avviamento è sostanzialmente una caratteristica dell’azienda, il cui valore può essere quantificato come positivo (goodwill) o negativo (badwill).

  • Ammortamento

L’avviamento può essere oggetto di ammortamento. Lo stabilisce l’articolo 2426 del Codice Civile (“Criteri di valutazione”): “l’avviamento può essere iscritto nell’attivo con il consenso, ove esistente, del collegio sindacale, se acquisito a titolo oneroso, nei limiti del costo per esso sostenuto. L’ammortamento dell’avviamento è effettuato secondo la sua vita utile; nei casi eccezionali in cui non è possibile stimarne attendibilmente la vita utile, è ammortizzato entro un periodo non superiore a dieci anni. Nella nota integrativa è fornita una spiegazione del periodo di ammortamento dell’avviamento“.

In sostanza, il costo dell’avviamento (che non sussiste nel caso in cui questo sia originario) può essere ammortizzato per un massimo di dieci anni: questa pratica è applicabile ai bilanci dall’anno solare 2016 in poi (mentre in precedenza il periodo massimo di ammortamento era di cinque anni). La ‘vita utile’ dell’avviamento viene, in genere, stimata dagli amministratori dell’azienda.

  • La tassazione per la cessione

Oltre che ad ammortamento, l’avviamento può essere soggetto anche a tassazione, nel caso in cui l’azienda venga ceduta. In realtà, sarebbe più corretto parlare di tassazione della plusvalenza derivata dalla cessione dell’azienda; secondo quanto stabilito dall’articolo 86 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi) “concorrono alla formazione del reddito anche le plusvalenze delle aziende, compreso il valore di avviamento, realizzate unitariamente mediante cessione a titolo oneroso“. È bene ricordare come la plusvalenza consista nella differenza tra il costo riconosciuto e il corrispettivo concordato per la cessione dell’azienda.

La plusvalenza può essere tassata in una soluzione unica all’interno del bilancio di esercizio all’interno della quale è stata realizzata. In alternativa la tassazione può essere rateizzata in cinque soluzioni del medesimo importo, se l’azienda è stata acquisita da almeno tre anni. L’articolo 58 del TUIR stabilisce, al comma 1, dispone che per “le plusvalenze derivanti da cessione delle aziende, le disposizioni del comma 4 dell’articolo 86 non si applicano quando è richiesta la tassazione separata“. Quest’ultima è accessibile solo quando se ne fa richiesta nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta.

In realtà va anche sottolineato come, in ambito internazionale, l’atteggiamento della fiscalità verso l’avviamento sia diverso da quello che si rintraccia nell’ordinamento italiano. In altre parole, in diversi paesi non lo si considera come un parametro suscettibile di ammortamento ma si sottopone ad una verifica periodica (impairment test) per riscontrare eventuali perdite di valore nel corso degli anni.

  • Obblighi

In presenza di un processo di cessione di un’azienda subentrano, sia per il compratore che per il venditore, degli obblighi ben precisi. Il primo è il “divieto di concorrenza“, disciplinato dall’articolo 2557 del Codice Civile: “chi aliena l’azienda deve astenersi, per il periodo di cinque anni dal trasferimento, dall’iniziare una nuova impresa che per l’oggetto, l’ubicazione o altre circostanze sia idonea a sviare la clientela dell’azienda ceduta“. Tale divieto vine formulato sotto forma di accordo scritto (il cosiddetto “patto di non concorrenza“, anch’esso regolamentato da c.c.), la cui durata massima può essere di cinque anni.

Per quanto riguarda gli obblighi dell’acquirente, vi è quello della “successione dei contratti” (secondo le disposizioni contenute nell’articolo 2558 del Codice Civile); il dispositivo stabilisce che, ad eccezione dei contratti personali, l’acquirente subentra negli accordi stipulati per la gestione dell’azienda.

Per quanto riguarda la cessione dei crediti, si fa riferimento a quanto stabilito dall’articolo 2559 del Codice Civile: “ha effetto, nei confronti dei terzi, dal momento dell’iscrizione del trasferimento nel registro delle imprese“, anche in assenza di notifica al debitore il quale, se paga l’alienante in buona fede, è libero dai propri oneri. In caso di cessione con usufrutto dell’azienda, se quest’ultimo si estende anche ai crediti, valgono le medesime disposizioni sopra citate. A tal proposito, l’articolo 2560 dispone che “l’alienante non è liberato dai debiti, inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito“.

  • Chi fa la valutazione

Per via dei risvolti fiscali (e non solo) che può avere l’avviamento nelle procedure di cessione di un’azienda, determinarne correttamente il valore è molto importante. Come detto, si tratta di un fattore immateriale che può comunque essere calcolato applicando una semplice formula: patrimonio netto (compresi i beni strumentali) – valore contabile: se il risultato è positivo (maggiore di zero), l’avviamento è positivo, altrimenti ci si trova in presenza di un avviamento negativo.

La stima del valore dell’avviamento aziendale deve essere affidato ad una figura qualificata, in genere un perito esterno all’azienda oggetto della valutazione (in modo tale da assicurare terzietà ed imparzialità tra compratore e venditore), o una qualsiasi altra figura professionale in possesso delle competenze necessarie per effettuare una disamina delle informazioni dalle quali desumere la stima del valore dell’avviamento. La valutazione può essere eseguita in diversi modi, prendendo come parametro di partenza il redditto, il patrimonio o entrambi (metodo misto); sistemi alternativi di valutazione sono quello finanziario e “il metodo dei multipli”, che consiste nel mettere in relazione i dati inerenti all’azienda con una serie di specifici fattori economici. Se la valutazione viene effettuata dall’autorità finanziaria, i parametri di applicazione e di validità dell’accertamento all’adesione del maggior valore sono contenuti nel decreto del Presidente della Repubblica n. 460 del 31 luglio 1996.

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Azienda individuale o libero professionista, differenze https://www.logicbid.com/blog/azienda-individuale-libero-professionista/ Fri, 20 Mar 2020 18:18:49 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=791 Quali sono le differenze tra azienda individuale e libero professionista. Il mondo dell’imprenditoria è composto da figure e soggetti di vario tipo e di varia natura, sia dal punto di visto giuridico sia per quanto riguarda la fiscalità. Tra questi vi sono l’azienda individuale e il libero professionista: per via del carattere di singolarità che caratterizza entrambi, spesso si tende a confonderli, benché sussistano specifiche differenze di ordine giuridico e previdenziale. Vediamo di seguito quali ...

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Quali sono le differenze tra azienda individuale e libero professionista.

Il mondo dell’imprenditoria è composto da figure e soggetti di vario tipo e di varia natura, sia dal punto di visto giuridico sia per quanto riguarda la fiscalità. Tra questi vi sono l’azienda individuale e il libero professionista: per via del carattere di singolarità che caratterizza entrambi, spesso si tende a confonderli, benché sussistano specifiche differenze di ordine giuridico e previdenziale. Vediamo di seguito quali sono le caratteristiche distintive, da vari punti di vista, che appartengono ai due soggetti.

  • Quali sono le differenze giuridiche

Nell’ordinamento italiano non si riscontra una definizione esatta di “impresa individuale” né tantomento di “libero professionista”. I due soggetti, però, sono inquadrati in maniera indiretta all’interno dell’ordinamento giuridico in vigore.

Dal punto di vista giuridico, l’impresa individuale è la forma più semplice di attività d’impresa: per tanto, è necessario che un imprenditore effettui le procedure previste dalla legge per la costituzione di un’attività imprenditoriale (registrazione alla Camera di Commercio e apertura della relativa partita IVA). Una volta costituita l’impresa individuale, essa gode dello statuto di persona giuridica. Il carattere individuale è legato al fatto che l’attività non prevede l’assunzione di dipendenti o collaboratori; in aggiunta, non sono presenti soci, ad alcun titolo, né quote societarie da dividere.

Per quanto riguarda il libero professionista, invece, si fa riferimento all'”esercizio delle professioni intellettuali, regolamentate dall’articolo 2229 del Codice Civile. Per questo tipo di professioni, è necessario iscriversi ad un albo professionale; il c.c. stabilisce inoltre che “l’accertamento dei requisiti per l’iscrizione negli albi o negli elenchi, la tenuta dei medesimi e il potere disciplinare sugli iscritti sono demandati, sotto la vigilanza dello Stato, salvo che la legge disponga diversamente“. Le professioni intellettuali sono quelle sottratte ai contratti collettivi, in base a quanto stabilito dall’articolo 2068 del Codice Civile perché esse “concernenti prestazioni di carattere personale o domestico” (comma 2).

In sintesi, la differenza giuridica che separa un imprenditore titolare di un’azienda individuale e un libero professionista è la natura dell’attività. Il secondo svolge una professione prevalentemente intellettuale (o altamente specialistica) mentre il primo è impegnato per lo più in settori di natura commerciale o artigianale.

  • Libero professionista che fa

Il libero professionista è una figura che svolge una determinata attività, di carattere economico, a favore di un soggetto terzo; la prestazione offerta dal libero professionista (detta “libera professione“) è di natura intellettuale. Tra le figure che più spesso forniscono prestazioni professionali da libero professionista ci sono, ad esempio, i consulenti o i giornalisti e qualsiasi altra professione che si può esercitare da “freelance” (anche i medici che svolgono l’attività in strutture diverse da quelle pubbliche possono essere annoverati tra i liberi professi). Le cosiddette “professioni intellettuali” sono individuate dalla legge, che determina quali necessitano dell’iscrizione ad appositi albi o elenchi, con le relative eccezioni.

In sostanza, il libero professionista svolge la propria attività, dietro compenso, in forma autonoma e può farlo anche se è lavoratore dipendente presso una struttura pubblica (come ad esempio i medici che lavorano nel settore pubblico e, contemporaneamente, ricevono i pazienti in forma privata). A rendere caratteristica la libera professione è la connotazione “intellettuale” dell’attività svolta o delle prestazioni erogate.

  • Cos’è una ditta individuale

L’articolo 2555  del Codice Civile definisce l’azienda come un “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa“. La ditta, invece, è il nome commerciale dell’impresa e “comunque sia formata, deve contenere almeno il cognome o la sigla dell’imprenditore“, fatta eccezione per le disposizioni in materia di trasferimento della ditta. L’uso esclusivo della ditta è appannaggio dell’imprenditore, ossia “chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi“, secondo le disposizioni contenute nell’articolo 2082 del Codice Civile. Egli è anche il capo dell’impresa e “ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa“.

Per tanto, un’impresa individuale è quell’attività imprenditoriale nella quale l’intero processo produttivo o l’erogazione del servizio fornito sono implementati da un singolo soggetto (per comodità, spesso viene erroneamente identificata come ditta). Egli non deve far fronte a nessun adempimento particolare per la registrazione, se non l’iscrizione alla Camera di Commercio che ha la competenza territoriale e l’apertura di una partita IVA. Di contro, deve farsi carico per intero del rischio d’impresa. Quindi, in estrema sintesi, una ditta individuale è un’attività d’impresa – di qualsiasi genere – svolta da una persona sola; la procedura di istituzione dell’impresa è quella stabilita dal comma 1 dell’articolo 9 della Legge 40/2007 (meglio nota come “Bersani-bis”): “ai fini dell’avvio dell’attività d’impresa, l’interessato presenta all’ufficio del registro delle imprese, per via telematica o su supporto informatico, la comunicazione unica per gli adempimenti di cui al presente articolo“.

Anche le imprese individuali possono utilizzare attrezzature, equipaggiamenti specifici ed altri beni strumentali che possono essere acquistati tramite vari canali, inclusi i portali specializzati che allestiscono aste online come ad esempio Logic Bid.

  • Differenze previdenziali

Oltre alle differenze esistenti a livello giuridico, tra il libero professionista e l’impresa individuale sussiste una netta divisione anche dal punto di vista fiscale. I due soggetti, infatti, sono tassati secondo due parametri leggermente differenti:

  • per i liberi professionisti, fa fede il “principio di cassa“; in altre parole, la pressione fiscale viene esercitata solo sugli importi effettivamente incassati durante un certo periodo d’imposta. Vengono tassati i redditi imponibili, il cui ammontare viene determinato dalla differenza dalle somme incassate e i costi deducibili; un libero professionista può optare per il regime fiscale che meglio si adatta al proprio volume d’affari. Nel regime forfettario la base imponibile è determinata dal tasso di redditività dell’attività; il regime fiscale agevolato per l’avviamento della professione prevede una tassazione del 5% per i primi cinque anni e del 15% per gli anni successivi;
  • le imprese individuali, invece, sono tassate sulla base del “principio di competenza” che funziona in maniera leggermente diversa rispetto a quello “di cassa”. In tal caso, infatti, la tassazione viene esatta in riferimento al reddito imponibile annuo (IRPEF), calcolato tenendo conto di tutti gli episodi economici che si sono manifestati nel corso di un singolo esercizio, senza tenere in conto del fatto che i ricavi o crediti siano stati effettivamente incassati. Le somme deducibili non incassate possono essere comunque dedotte, se rientrano tra le voci deducibili. Anche le imprese individuali possono scegliere di aderire al regime forfettario.

In sostanza, la differenza che passa tra una ditta individuale e un libero professionista è la modalità di calcolo della base imponibile per i due soggetti: per il primo contano gli incassi effettivi, per il secondo sono presi a riferimento le voci iscritte in un dato bilancio d’esercizio, anche se verranno incassate in un momento diverso.

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Voucher Innovation Manager, cosa sapere https://www.logicbid.com/blog/voucher-innovation-manager/ Fri, 13 Mar 2020 11:00:09 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=783 Cosa sapere sul Voucher Innovation Manager. Lo sviluppo delle imprese è uno dei principali obiettivi di ogni governo che voglia promuovere una crescita organica della propria economica. Per questo, vengono presi provvedimenti ad hoc che prevedano misure volte ad incentivare non solo l’espansione delle attività economiche ma anche la loro innovazione, in modo tale che le imprese crescano sfruttando i risultati ottenuti dall’innovazione tecnologica e digitale. In tal senso, l’Italia ha fatto registrare i primi ...

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Cosa sapere sul Voucher Innovation Manager.

Lo sviluppo delle imprese è uno dei principali obiettivi di ogni governo che voglia promuovere una crescita organica della propria economica. Per questo, vengono presi provvedimenti ad hoc che prevedano misure volte ad incentivare non solo l’espansione delle attività economiche ma anche la loro innovazione, in modo tale che le imprese crescano sfruttando i risultati ottenuti dall’innovazione tecnologica e digitale. In tal senso, l’Italia ha fatto registrare i primi passi significativi in questa direzione nel luglio 2019, quando è entrato in vigore un decreto direttoriale del Ministero dello Sviluppo Economico (MISE) che ha introdotto la figura professionale dell’Innovation Manager: vediamo di seguito di cosa si tratta

  • Cosa si intende per Innovation Manager

L’Innovation Manager è una figura professionale introdotta dal decreto n. 152 del 7 maggio 2019 (“Disposizioni applicative del contributo a fondo perduto, in forma di voucher, a beneficio delle micro, piccole e medie imprese, per l’acquisto di consulenze specialistiche in materia di processi di trasformazione tecnologica e digitale“). Indicato anche come “manager dell’innovazione“, si tratta di un consulente specializzato, in grado di affiancare le piccole e medie imprese fornendo servizi di consulenza specifica, inerenti in modo particolare all’aggiornamento tecnologico e digitale.

Secondo quanto stabilito dai comma 2 e 3 dell’articolo 5 del decreto del 7 maggio 2019, un consulente, per essere ammesso all’elenco degli Innovation Manager, deve essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • essere accreditato negli albi o elenchi dei manager dell’innovazione istituiti presso Unioncamere, presso le associazioni di rappresentanza dei manager o presso le organizzazioni partecipate pariteticamente da queste ultime e da associazioni di rappresentanza datoriali“;
  • essere accreditate negli elenchi dei manager dell’innovazione istituti presso le regioni ai fini dell’erogazione di contributi
    regionali o comunitari“.

In aggiunta, sono considerati requisiti funzionali all’iscrizione anche lauree magistrali, dottorati di ricerca e master universitari incentrati su materie specifiche quali scienze matematiche ed informatiche, scienze fisiche, scienze chimiche, scienze biologiche, ingegneria industriale e dell’informazione e scienze economiche e statistiche. L’Innovation Manager – il cui contratto di consulenza non può essere inferiore ai nove mesi – si occupa, secondo quanto si legge nel decreto del MISE, di uno o più dei seguenti aspetti: “indirizzare e supportare i processi di innovazione, trasformazione tecnologica e digitale“. A tale scopo, è autorizzato ad impiegare una o più delle seguenti tecnologie:

  • big data e analisi dei dati;
  • cloud, fog e quantum computing;
  • cyber security;
  • integrazione delle tecnologie della Next Production Revolution (NPR);
  • simulazione e sistemi cyber-fisici;
  • prototipazione rapida;
  • sistemi di visualizzazione, realtà virtuale (RV) e realtà aumentata (RA);
  • robotica avanzata e collaborativa;
  • interfaccia uomo-macchina;
  • manifattura additiva e stampa tridimensionale;
  • internet delle cose e delle macchine;
  • integrazione e sviluppo digitale dei processi aziendali;
  • programmi di digital marketing, “per l’innovazione di tutti i processi di valorizzazione di marchi e segni distintivi (c.d. «branding») e sviluppo commerciale verso mercati“;
  • programmi di open innovation.

 

  • Come funziona il Voucher

Il voucher è un contributo a fondo perduto che viene erogato alle imprese beneficiarie (individuate nel decreto), ovvero le micro, piccole e medie imprese (“indipendentemente dalla forma giuridica“) che abbiano la sede legale o un’unità locale attiva sul territorio nazionale. Inoltre, tali soggetti non devono essere destinatari di sanzioni interdittive né “essere sottoposte a procedura concorsuale e non trovarsi in stato di fallimento, di liquidazione anche volontaria, di amministrazione controllata, di concordato preventivo o in qualsiasi altra situazione equivalente“. Oltre alle piccole e medie imprese, possono accedere al contributo anche le imprese aderenti ad un contratto di retea condizione che tale contratto configuri una collaborazione effettiva e stabile e preveda nel programma comune lo sviluppo di processi innovativi in materia di trasformazione tecnologica e digitale“. Le caratteristiche del contratto di rete che consentono l’accesso al voucher Innovation Manager sono elencate in dettaglio al comma 2 dell’articolo 2 del decreto n. 152 del 7 maggio 2019.

Il contributo per i servizi di consulenza specialistica in innovazione viene erogato secondo le seguenti modalità:

  • 50% per le micro e piccole imprese; il limite massimo del voucher è di 40.000 euro a fronte di una spesa massima sostenuta pari a 80.000 euro;
  • 30% per le medie imprese: il limite massimo del contributo è pari a 25.000 euro a fronte di una spesa massima sostenuta pari a 83.333,33 euro;
  • 30% per le aziende aderenti ad un contratto di rete: il limite massimo del contributo è fissato in tal caso a 80.000 euro a fronte di costi massimi sostenuti quantificati in 160.000 euro.

Il contributo, sotto forma di voucher, viene erogato per sostenere parte delle spese affrontate dall’azienda per servizi di consulenza; ciascun soggetto non può mettere sotto contratto più di 10 manager e ciascuno di questi non può essere assunto per un periodo inferiore a nove mesi.

Dopo la pubblicazione dell’elenco degli Innovation Manager, a novembre 2019 è stata chiusa la piattaforma messa a disposizione delle imprese per la consultazione dei nominativi dei consulenti iscritti; tra novembre e dicembre 2019 è stata fissata la finestra temporale per la presentazione delle domande; a partire da gennaio 2020 il MISE ha messo in programma di avviare le concessioni.

  • Come fare richiesta

Le aziende che rientrano tra i soggetti beneficiari del contributo possono inviare la richiesta per via telematica, attraverso la procedura accessibile alla sezione “Voucher per consulenza in innovazione” disponibile sul sito ufficiale del Ministero dello Sviluppo Economico. La procedura è stata resa disponibile a partire dal 3 dicembre 2019, poi posticipato al 12 dicembre per via di una proroga del termine per la predisposizione delle istanze di accesso alle agevolazioni.

A fronte delle numerose istanze di accesso alle risorse stanziate dalla legge di bilancio 2019” – si legge sul sito del MISE – “per le annualità 2019 e 2020, superiori alla dotazione finanziaria disponibile per l’intervento (pari complessivamente a 50 milioni di euro), il Ministero ha disposto la chiusura dello sportello per la presentazione delle domande di accesso alle agevolazioni con effetto dal 13 dicembre 2019“.

La domanda di ammissione, in cui l’azienda deve indicare il manager per l’innovazione del quale si intende avvalersi, è accessibile solo al legale rappresentante dell’impresa, come risultante dal certificato camerale. La procedura prevede l’identificazione e l’autenticazione attraverso la Carta nazionale dei servizi (CNS), oppure per mezzo di un dispositivo (come ad esempio una Smart Card o una chiavetta USB) che contenga un certificato digitale di autenticazione personale.

  • Elenco Innovation Manager

La misura e la sua attuazione vengono gestite per intero dal MISE per mezzo di una piattaforma digitale che connette gli Innovation Manager con i soggetti beneficiari del voucher, in presenza delle condizioni individuate dal decreto di riferimento. Tutte le persone fisiche in possesso dei requisiti necessari per ricoprire il ruolo di manager dell’innovazione all’interno di un’azienda (ammessa tra i soggetti destinatari del contributo) hanno avuto la possibilità di iscriversi all’elenco dei manager fino al 25 ottobre 2019, data di chiusura delle iscrizioni. Successivamente, il Ministero dello Sviluppo Economico ha pubblicato – tramite i propri canali ufficiali – l’elenco completo dei manager, con una nota stampa del 7 novembre 2019.

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Pallet Pooling, di cosa si tratta ed a cosa serve https://www.logicbid.com/blog/pallet-pooling/ Fri, 06 Mar 2020 15:58:07 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=773 Cos’è il Pallet Pooling ed a cosa serve? Molte aziende, appartenenti a settori per lo più legati alla produzione ed allo stoccaggio, utilizzano i cosiddetti “pallet“. Si tratta delle pedane di legno, di forma rettangolare, utilizzate per il trasporto di merci e prodotti imballati o inscatolati dal fornitore al distributore o viceversa. Sono strutture piuttosto leggere, costituite da assi di legno alte pochi cm, allestite su quadroni di truciolato; la superficie di appoggio è coperta ...

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Cos’è il Pallet Pooling ed a cosa serve?

Molte aziende, appartenenti a settori per lo più legati alla produzione ed allo stoccaggio, utilizzano i cosiddetti “pallet“. Si tratta delle pedane di legno, di forma rettangolare, utilizzate per il trasporto di merci e prodotti imballati o inscatolati dal fornitore al distributore o viceversa. Sono strutture piuttosto leggere, costituite da assi di legno alte pochi cm, allestite su quadroni di truciolato; la superficie di appoggio è coperta da assi poste a corta distanza le une dalle altre mentre la superficie opposta è costituita soltanto dalle assi che tengono assieme le parti del bancale. Questo tipo di oggetto viene utilizzato in numerosi ambiti, in quanto ha una funzione pratica e logistica ben precisa: consente di spostare grosse quantità di prodotti in maniera sicura, utilizzando un carrello elevatore, senza poggiarli direttamente a terra, con il rischio di rovinare l’imballaggio o danneggiarne l’interno.

  • Cos’è il Pallet Pooling

La gestione dei pallet rappresenta un’aspetto importante del ciclo produttivo di un’azienda che ne fa ampio uso. La prassi più diffusa fino a qualche anno fa era quella dell’interscambio. In pratica, questo modello di gestione delle pedane di legno per lo stoccaggio prevedeva la consegna di un bancale vuoto da parte del destinatario del pallet “carico”; ciò era possibile perché tutte le pedane da stoccaggio che vengono messe in circolazione rientrano nello standard Epal. Il problema era che spesso questa prassi non veniva rispettata, causando problemi di natura logistica all’azienda che effettuava la consegna; quest’ultima, di fatto, “perdeva” un pallet, con ripercussioni notevoli sui costi di gestione e sul versante logistico. Col tempo, infatti, il mancato interscambio comportava, per l’azienda che effettuava le consegne, un ammanco di pallet quantificabile tra il 15 ed il 30%; in altre parole, l’operatore si vedeva costretto ad acquistare un nuovo carico di pedane, pur di poter continuare ad effettuare le operazioni di consegna.

Per aggirare i problemi e gli scompensi connessi all’interscambio di pallet, da diversi anni le aziende del Nord Europa hanno optato per il pallet pooling, diffusosi di recente anche presso molte aziende italiane. Questo sistema si basa su di un meccanismo di noleggio da parte di un soggetto terzo che mette a disposizione le pedane e si occupa dei servizi di consegna e ritiro delle stesse, esonerando le aziende dalle operazioni di gestione dei pallet.

  • Vantaggi e svantaggi

L’utilizzo di pallet in pool (altra denominazione del pallet pooling) è una procedura che presenta numerosi vantaggi rispetto al semplice interscambio. Il principale è di natura logistica: appaltando ad un soggetto terzo la gestione delle fasi di consegna e ritiro dei bancali usati, l’azienda che li utilizza non deve impiegare tempo e risorse ad occuparsi dell’approvvigionamento, del ritiro o della riconsegna dei pallet. Un aspetto secondario, ma non meno trascurabile, è quello sanitario: il pallet pooling consente di avere maggiori garanzie sulla sanificazione delle pedane, cosa che nel sistema di interscambio si presenta più problematica.

Il vantaggio più significativo è di certo quello di carattere economico. L’azienda che usa bancali e pedane a noleggio deve sostenere dei costi fissi e preventivabili, calibrati sulla base del proprio volume d’affari. Ciò consente di destinare al comparto logistico una determinata quantità di risorse economiche, agevolando la gestione del bilancio. In aggiunta, poiché il pallet pooling azzera il fenomeno della perdita delle pedane e tutela l’azienda dal dover affrontare una spesa ulteriore nel caso si verifichino ammanchi o la quantità di bancali a disposizione non sia sufficiente al volume di beni e prodotti da stoccare e trasportare. Va considerato come i nuovi bancali omologati secondo lo standard Epal costino quasi il doppio rispetto ai “modelli” che circolavano in Italia fino al 1999: il prezzo di un singolo pallet Epal oscilla tra i 7.20 e gli 8.60 euro mentre le vecchie pedane Centromarca (di qualità inferiore) costavano, al massimo, 5.25 euro l’una.

Il principale svantaggio legato al pallet pooling è connesso al volume di affari dell’azienda; il modello del noleggio pedane si applica con profitto ai soggetti che gestiscono una quantità di circa 4.000 pallet all’anno perché questa quantità consente di ammortizzare completamente i costi di noleggio, rendendo l’opzione più proficua della gestione tramite interscambio.

  • Come utilizzarlo

Un’azienda che abbia bisogno di pallet (conformi agli standard in vigore) ma non voglia affrontare la spesa per acquistarne una dotazione propria, può optare per il pooling, rivolgendosi ad operatori specializzati del settore. Le aziende di noleggio gestiscono i servizi di trasporto (consegna e ritiro) necessari ad assicurare il pooling delle pedane; per tanto stipulano un contratto con altri soggetti, specializzati nella fornitura di servizi di trasporto, per i quali servono operatori in possesso dei mezzi e dei veicoli adeguati. Per utilizzare il servizio è quindi necessario stipulare un contratto di noleggio delle pedane con un operatore specializzato; l’intesa che viene stipulata tra l’azienda di pallet pool e quella che ne deve usufruire si basa su determinate condizioni, che vengono fissate preliminarmente, a seconda delle esigenze del cliente. Il ciclo del pallet pooling si sviluppa in questo modo:

  • l’azienda fornitrice delle pedane a noleggio consegna le basi al cliente; la quantità di ogni singola consegna, così come la cadenza, vengono definite dalle condizioni contrattuali e dal volume di pallet che il richiedente pensa di dover gestire entro un determinato lasso di tempo;
  • l’azienda imballa la merce e la dispone sui pallet per predisporre la consegna di uno o più ordini;
  • una volta effettuate le spedizioni, l’azienda comunica all’operatore di pallet pooling gli estremi della spedizione indicando, in particolare, la data, il numero di pallet impiegati e la destinazione (specificando le coordinate identificative del destinatario);
  • l’azienda di pallet pooling si occupa del recupero delle pedane presso il soggetto destinatario della spedizione, riportando i bancali presso un proprio deposito (o centro operativo) per eventuali operazioni di sanificazione, riparazione o ripristino.

Per utilizzare in maniera produttiva il noleggio delle pedane in legno, è bene calcolare con attenzione quelli che sarebbero i costi complessivi del pooling, così da stimare correttamente l’opportunità di usufruire di questa gestione logistica anziché di una più semplice.

Ci sono diversi fattori che influiscono sul costo del noleggio dei bancali da stoccaggio; uno di questi è certamente il tipo di prodotto trattato: per la aziende che lavorano prodotti naturali non trasformati, ad esempio, il fabbisogno giornaliero è molto elevato, perché i trasporti devono essere tempestivi e si possono ripetere più volte nell’arco di una sola giornata. In tal caso, il pallet pooling può accelerare notevolmente il ciclo produttivo, perché alleggerisce l’onere dell’azienda produttrice; quest’ultima, di contro, potrebbe dover sostenere dei costi maggiori, perché le pedane “girano” molto di più: un maggior numero di consegne e ritiri costerà certamente di più rispetto ad un contratto di noleggio che preveda un massimo limitato di trasporti mensili o annuali.

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Calcolo rendimento investimento, come si fa https://www.logicbid.com/blog/calcolo-rendimento-investimento/ Fri, 21 Feb 2020 15:06:07 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=747 Come si calcola il rendimento di un investimento In ambito economico e finanziario, gli investimenti sono operazioni all’ordine del giorno. Ciò nonostante, si tratta di operazioni che devono essere pianificate con cura ed attenzione, tenendo in considerazioni tutti i parametri che possono determinarne la buona o la cattiva riuscita. Un’attenta valutazione delle prospettive connaturare al tipo di investimento è cruciale per l’investitore, ossia il soggetto che implementa attivamente l’investimento. Questo perché, è bene ricordarlo, un ...

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Come si calcola il rendimento di un investimento

In ambito economico e finanziario, gli investimenti sono operazioni all’ordine del giorno. Ciò nonostante, si tratta di operazioni che devono essere pianificate con cura ed attenzione, tenendo in considerazioni tutti i parametri che possono determinarne la buona o la cattiva riuscita. Un’attenta valutazione delle prospettive connaturare al tipo di investimento è cruciale per l’investitore, ossia il soggetto che implementa attivamente l’investimento. Questo perché, è bene ricordarlo, un investimento rappresenta un impegno di asset e risorse che l’investitore mette in gioco per aumentare il proprio capitale o il valore dei beni in proprio possesso. Naturalmente, operazioni di questo tipo sono orientate ad assicurare un saldo positivo che può essere perseguito solo per mezzo di accurate valutazioni preliminari, che tengano in conto criticità e fattori di rischio. In concreto, ciò si traduce in un calcolo del rendimento dell’investimento: vediamo di seguito di cosa si tratta.

  • Perché è importante calcolare il rendimento

L’importanza del calcolo del rendimento di un investimento risiede nella capacità di tutelare gli interessi dell’investitore. In altre parole, il soggetto che attivamente mette a disposizione le risorse da investire (o se ne fa garante) ha bisogno, a tutela del proprio tornaconto, di conoscere quale sarà – in maniera indicativa – il rendimento, in termini economico-finanziari, del proprio investimento.

In sostanza, calcolare la rendita (ossia “quanto rende”) un investimento serve a:

  • valutare la bontà dell’investimento;
  • valutare e quantificare il capitale da investire;
  • stimare la durata dell’investimento sulla base delle esigenze e delle possibilità dell’investitore;
  • valutare la possibilità di trovare uno o più soci;
  • scegliere il tipo di investimento.

Può sembrare banale ma non sempre un investimento molto redditizio, ossia con un elevato rendimento percentuale, è preferibile. L’investitore, infatti, deve valutare anche altri aspetti: il capitale da investire inizialmente e la durata dell’investimento. La rendita, di per sé, non basta a determinare la fattibilità o l’opportunità di un’operazione: se il portafoglio iniziale è troppo elevato (o troppo ridotto), l’investitore può essere scoraggiato, così come se la durata è eccessiva.

Ad ogni modo, stimare la rendita di un investimento è un passaggio molto significativo: i risultati ottenuti dalla valutazione del rendimento possono orientare, in un senso o nell’altro, la decisione dell’investitore rispetto alla possibilità di procedere o meno alla sottoscrizione dell’investimento.

  • Cosa si intende per rendimento

In economia e finanza, il rendimento (o, più propriamente, rendimento alla scadenza) corrisponde ad un preciso valore, ossia quello dell’utile realizzato dall’investitore al termine della scadenza dell’investimento. Si tratta di un parametro che viene espresso in percentuale ma può anche essere quantificato in maniera diversa. In sintesi, il rendimento di un investimento è la differenza che sussiste tra portafoglio a scadenza e quello all’inizio del periodo di investimento. Sulla base di questa premessa, il rendimento (o rendita) può essere:

  • positivo
  • negativo o nullo.

Nel primo caso, l’investimento si è rivelato favorevole, assicurando un utile all’investitore. In pratica, l’operazione ha fatto guadagnare un surplus a quest’ultimo. Esempio: un investimento iniziale di 1.000 euro ha prodotto un portafoglio alla scadenza del valore di 1.200 euro; il saldo (+200 euro), rappresenta il rendimento attivo dell’investimento. Una rendita nulla (o quasi) può registrarsi su determinati tipi di investimento, come ad esempio l’acquisto titoli e obbligazioni i cui tassi sono prossimi allo zero, per via del valore di rendimento non particolarmente alto. In tal caso, però, il risultato finale dell’investimento è ampiamente preventivabile, e ciò consente all’investitore di pianificare accuratamente la propria strategia.

  • Come si calcola il rendimento

Il rendimento di un investimento (di qualsiasi natura) può essere calcolato per mezzo di una specifica formula matematica: R= [(M-I)/I] x 100.

(R) rappresenta il rendimento, (M) il montante e (I) gli interessi. (M) corrisponde al capitale comprensivo degli interessi maturati mentre (I) indica le risorse investite. L’interesse può essere a sua volta calcolato ricorrendo ad un’altra formula matematica per cui I=C(i)(t). In questa formula, (i) corrisponde al tasso di interesse e (t) al tempo coincidente con la durata dell’investimento del capitale C. Per tanto, per quantificare il rendimento è necessario essere a conoscenza di tre fattori: l’ammontare della cifra da investire, il tasso di interesse imposto sullo stesso e la durata. Esempio: poniamo il caso di un investimento da 10.000 euro, con un tasso di interesse del 5%, della durata di 4 anni.

Dovendo calcolare il montante (M) di questa operazione, basta applicare la formula M = C + I; per cui:
M (montante) = 10.000 euro (capitale) + interesse

Calcoliamo singolarmente a quanto ammonta l’interesse, ricorrendo alla formula I=C(i)(t). Per tanto, il valore di I sarà dato dalla seguente operazione: 10.000 euro (capitale) x (5/100) x (4 anni). Il risultato è 2.000 euro, che rappresenta l’interesse complessivo maturato dall’investitore nell’arco di tempo di durata dell’investimento. Questo dato ci permette di calcolare il montante che, in questo esempio, corrisponde a 12.000 euro. Immettendo tutti i dati nella formula iniziale si ha: R = [(12.000 – 2.000)/2.000] x 100 = 500. Il valore corrisponde al rendimento annuo; per quantificarlo in percentuale basta moltiplicarlo per i 4 anni dell’investimento e rapportarlo al portafoglio iniziale mediante una semplice proporzione: 2.000: 10.000 = x: 100. X è il rendimento in percentuale, ossia il 20%. Da questo calcolo emerge chiaramente come non bisogna confondere il tasso di interesse con la rendita effettiva.

In alternativa, è possibile ricorrere ai numerosi simulatori online che permettono, in maniera semplice e veloce, di calcolare il rendimento di un investimento inserendo i parametri già citati, oppure digitando il valore dell’importo finale, così da ottenere la quantificazione in percentuale del rendimento dell’investimento rispetto al montante realizzato. Da ciò si evince come il calcolo possa essere fatto sia prima di realizzare  l’investimento (calcolo a scopo valutativo) sia dopo, in modo tale da avere una stima del rendimento effettivamente realizzato; in tal caso, il calcolo avrà scopo comparativo, in quanto consente all’investitore di confrontare i riscontri reali con le previsioni di rendimento effettuate in precedenza.

Un altro metodo per effettuare l’operazione è quello di ricorrere ad un foglio di calcolo Excel. La procedura è piuttosto semplice: basta inserire le diciture “importo investimento”, “capitali frutto di investimento” e “rendimento” nelle prime tre caselle della prima riga del documento (rispettivamente, A1, B1 e C1). Nella seconda riga vanno inseriti gli importi corrispondenti alle prime due voci, preceduti dal punto interrogativo. Nella casella C2, invece, in corrispondenza della voce “rendimento”, va inserita la formula che deve essere poi accettata cliccando sul tasto “check”. Selezionando l’icona “%” dal menù in alto, la formula del rendimento sarà inserite tra quelle disponibili su Excel; una volta completata la procedura, basta cliccare su “calcola foglio” per ottenere il dato relativo al rendimento dell’investimento.

Per calcolare il rendimento semplice di uno strumento finanziario, come ad esempio un titolo, serve una formula diversa:

RS (rendimento semplice) = I/P x 360/N x 100.

(I) corrisponde all’investimento, (P) è il prezzo del titolo singolo e (N) è la durata dell’investimento.

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Bonus Aggregazioni 2020: una guida completa https://www.logicbid.com/blog/bonus-aggregazioni-2020/ Fri, 14 Feb 2020 15:38:53 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=731 Bonus Aggregazioni, tutto quello che c’è da sapere Il sostegno alle imprese è da sempre una parte importante delle politiche economiche e finanziarie del governo. Esso si manifesta spesso sotto forma di agevolazioni di varia natura, il cui scopo è quello di favorire lo sviluppo e, di conseguenza, la crescita dell’impiego. Tra queste misure rientra anche il cosiddetto “bonus aggregazioni“, una misura di agevolazione introdotta nel 2019. Vediamo di seguito di cosa si tratta e ...

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Bonus Aggregazioni, tutto quello che c’è da sapere

Il sostegno alle imprese è da sempre una parte importante delle politiche economiche e finanziarie del governo. Esso si manifesta spesso sotto forma di agevolazioni di varia natura, il cui scopo è quello di favorire lo sviluppo e, di conseguenza, la crescita dell’impiego. Tra queste misure rientra anche il cosiddetto “bonus aggregazioni“, una misura di agevolazione introdotta nel 2019. Vediamo di seguito di cosa si tratta e quali soggetti ne possono trarre vantaggio.

  • Di cosa si tratta

Il “bonus aggregazioni” è – come detto – un provvedimento volto ad assicurare agevolazioni alle imprese. Viene disciplinato dall’articolo 11 del Decreto-legge n. 34 del 30 aprile 2019 (il cosiddetto “decreto crescita“); secondo quanto disposto dal comma 1 per le imprese “che risultano da operazioni di aggregazione aziendale, realizzate attraverso fusione o scissione effettuate a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto fino al 31 dicembre 2022, si considera riconosciuto, ai fini fiscali, il valore di avviamento e quello attribuito ai beni strumentali materiali e immateriali, per effetto della imputazione su tali poste di bilancio del disavanzo da concambio, per un ammontare complessivo non eccedente l’importo di 5 milioni di euro.”

  • Come può essere utile per le aziende

In termini generici, lo scopo principale del bonus è quello di favorire la crescita delle aziende dal punto di vista dimensionale; in concreto, ciò dovrebbe tradursi in una maggiore competitività dei singoli soggetti, da perseguire attraverso procedure di fusione o aggregazione. L’utilità pratica del bonus aggregazioni 2020 si traduce, in estrema sintesi, nella possibilità di dedurre maggiori ammortamenti rispetto al regime fiscale ordinario (entro un limite quantificato in 5 milioni di euro).

Per capire il meccanismo del bonus è necessario avere presente alcuni concetti chiave:

  • il valore di avviamento è rappresentato dal maggior valore attribuito ad un’azienda rispetto alla somma algebrica delle attività e delle passività;
  • i beni strumentali (materiali e immateriali) sono gli oggetti che un’impresa utilizza per implementare la propria attività;
  • il disavanzo da concambio è la differenza tra l’aumento del capitale sociale dell’azienda incorporante e il patrimonio nella della società incorporata.

Alla luce di quanto evidenziato sin qui, il bonus intende favorire la crescita delle società di capitale incoraggiando fusioni o aggregazioni per mezzo di agevolazioni fiscali, soprattutto in termini di ammortamento, ossia l’estinzione graduale di un debito (in altre parole, il meccanismo per cui una spesa non viene iscritta a bilancio per intero nello stesso esercizio ma “divisa” in quote fisse o variabili distribuite su più esercizi successivi).

  • Come viene applicato e come accedere

Il bonus aggregazioni è accessibile ai soggetti indicati nell’articolo 73 del Decreto del Presidente della Repubblica, n. 917, del 22 dicembre 1986, noto anche come Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR). Nel dispositivo sopra citato, sono indicati i soggettivi passivi a IRES (Imposta sul Reddito delle Società) e IRAP (Imposta Regionale sulle Attività Produttive), ovvero i soggetti che possono usufruire delle agevolazioni per le “aggregazioni d’imprese”:

  • le società per azioni e in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le società di mutua assicurazione, nonché le società europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001 e le società cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato italiano;
  • gli enti pubblici e privati diversi dalle società e i trust con sede nel territorio italiano, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività di natura commerciale;
  • gli enti pubblici e privati diversi dalle società e i trust che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciale;
  • gli organismi di investimento collettivo del risparmio;
  • le società e gli enti di ogni tipo, compresi i trust, con o senza personalità giuridica, non residenti nel territorio dello Stato.

Le condizioni di accesso al bonus sono le seguenti:

  • i soggetti che partecipano alle operazioni di aggregazione, scissione o conferimento devono essere operativi da almeno due anni;
  • le aziende oggetto di fusione o aggregazione non devono far parte dello stesso gruppo societario;
  • i soggetti coinvolti non devono essere legati da un rapporto di reciproca partecipazione superiore al 20% o essere controllati, pur indirettamente, dallo stesso soggetto;
  • le aziende che partecipano alle operazioni di aggregazione, conferimento o scissione devono essersi trovate (per i due anni precedenti, in maniera ininterrotta) o trovarsi ancora nelle condizioni che consentono l’accesso al bonus.

In merito all’ultimo punto si è espressa esplicitamente l’Agenzia delle Entrate con una circolare del 21 marzo 2007. Nel documento si legge che “il beneficio potrà essere concesso solo a condizione che le imprese partecipanti alle descritte operazioni di aggregazione aziendale possiedano i requisiti soggettivi ed oggettivi […] non solo al momento in cui viene posta in essere l’operazione di fusione, scissione o conferimento ma che li abbiano posseduti ininterrottamente anche nel corso dei due anni precedenti l’operazione stessa“.

  • Decadenza dell’agevolazione

Il comma 6 dell’articolo 11 del “Decreto Crescita” illustra le condizioni che comportano il decadimento dell’agevolazione. Nello specifico, la società risultante dalla fusione o dall’aggregazione tra due soggetti, perde il diritto al bonus se “nei primi quattro periodi d’imposta dalla effettuazione dell’operazione pone in essere ulteriori operazioni straordinarie“. Queste ultime sono individuate dai capi III e IV del titolo III del TIUR:

  • trasformazione della società;
  • trasformazione eterogenea;
  • fusione di società;
  • scissione di società;
  • conferimenti di partecipazioni di controllo o di collegamento;
  • scambi di partecipazioni.

Una ulteriore condizione che determina il decadimento delle agevolazioni è la cessione dei beni iscritti o rivalutati. La normativa prevede un’eccezione, ovvero l’attivazione della procedura prevista dal comma 2 dell’articolo 11 della Legge n. 212 del 27 luglio 2000 (il cosiddetto “Statuto del Contribuente”): “La risposta dell’amministrazione finanziaria, scritta e motivata, vincola con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza di interpello, e limitatamente al richiedente. Qualora essa non pervenga al contribuente entro il termine di cui al comma 1, si intende che l’amministrazione concordi con l’interpretazione o il comportamento prospettato dal richiedente. Qualsiasi atto, anche a contenuto impositivo o sanzionatorio, emanato in difformità dalla risposta, anche se desunta ai sensi del periodo precedente, è nullo“.

Qualora, per un motivo o per l’altro, la società di nuova formazione incorra in una delle eventualità che prevedono il decadimento dell’agevolazione, la stessa è chiamata all’adempito di precisi obblighi fiscali. Nello specifico, il soggetto deve liquidare e versare (all’interno della dichiarazione dei redditi relativa al periodo di ricezione del bonus) IRES e IRAP dovuti sulla maggiore base imponibile, anche per i periodi di imposta precedenti. È quanto disposto dal comma 7 dell’articolo 11 del Decreto crescita: “Nella dichiarazione dei redditi del periodo d’imposta in cui si verifica la decadenza […] la società è tenuta a liquidare e versare l’imposta sul reddito delle società e l’imposta regionale sulle attività produttive dovute sul maggior reddito“. Questi viene determinato “senza tenere conto dei maggiori valori riconosciuti fiscalmente ai sensi dei commi 1 e 2“, mentre sulle maggiori imposte non sono dovute sanzioni e interessi.

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Come valutare il marchio di un’azienda https://www.logicbid.com/blog/valore-marchio-aziendale/ Fri, 24 Jan 2020 13:00:39 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=701 Valore marchio, ecco quali sono i criteri di valutazione Un’azienda, a prescindere dal tipo di attività che svolge, può detenere il possesso di uno o più marchi. Le dinamiche di mercato possono rendere necessaria una valutazione specialistica del valore di uno o più marchi di proprietà di un’azienda; si tratta di una procedura complessa, che deve essere effettuata tenendo anzitutto in conto le normative di riferimento che regolamentano la registrazione e i diritti esercitabili sul ...

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Valore marchio, ecco quali sono i criteri di valutazione

Un’azienda, a prescindere dal tipo di attività che svolge, può detenere il possesso di uno o più marchi. Le dinamiche di mercato possono rendere necessaria una valutazione specialistica del valore di uno o più marchi di proprietà di un’azienda; si tratta di una procedura complessa, che deve essere effettuata tenendo anzitutto in conto le normative di riferimento che regolamentano la registrazione e i diritti esercitabili sul marchio. Vediamo di seguito cos’è un marchio aziendale e come si procede a valutarne il valore.

  • Cosa si intende per marchio aziendale

La versione online dell’Enciclopedia Treccani definisce il marchio come “segno distintivo, protetto da titolo di proprietà industriale, finalizzato a contraddistinguere i prodotti o servizi di un’impresa da quelli di altre“.

La disciplina relativa ai marchi (ed al loro utilizzo) risale al Regio Decreto n. 929 del 21 giugno 1942. L’articolo 16 elenca tutti gli elementi che possono essere registrati come un marchio d’impresa: “tutti i nuovi segni suscettibili di essere rappresentati graficamente, in particolare le parole, compresi i nomi di persone, i disegni, le lettere, le cifre, i suoni, la forma del prodotto o della confezione di esso, le combinazioni o le tonalità cromatiche” a patto che siano in grado di distinguersi dai prodotti e dai servizi offerti da un’altra impresa.  Cruciale, in tal senso, l’elemento di “novità” del segno registrato come marchio; esso diviene la discriminante necessaria alla registrazione dello stesso. Per questo, l’articolo 17 del Decreto individua tutti i segni che “non sono nuovi […] alla data del deposito della domanda“:

  • segni di uno comune nel linguaggio o di uso costante nel commercio;
  • segni identici o simili a marchi già utilizzati da altre imprese;
  • segni identici o simili ad altri già noti come ditta, denominazione o ragione sociale;
  • segni identici ad un marchio già registrato nello Stato da un altro soggetto, in data precedente alla presentazione della domanda.

In generale, il Decreto vieta la registrazione di marchi che possano generare confusione nel pubblico (rispetto ad un marchio già esistente) oppure procurare al detentore dei diritti del marchio un vantaggio indebito nei confronti di soggetti concorrenti; in altre parole, individua i casi in cui la registrazione di un marchio rappresenterebbe un atto di concorrenza sleale, in maniera simile a come vengono definiti dal Codice Civile. Il Decreto legislativo, 10/02/2005 n° 30 (anche detto “Codice della Proprietà Industriale”) “Non possono costituire oggetto di registrazione come marchio d’impresa i segni privi di carattere distintivo e in particolare

Come già accennato, il marchio aziendale è protetto da proprietà industriale; questo concetto viene definito dall’articolo 1 del Decreto legislativo, 10/02/2005 n° 30 (anche detto “Codice della Proprietà Industriale“): “marchi ed altri segni distintivi, indicazioni geografiche, denominazioni di origine, disegni e modelli, invenzioni, modelli di utilità, topografie dei prodotti a semiconduttori, segreti commerciali e nuove varietà vegetali“. I diritti derivanti dalla proprietà industriale possono essere acquisiti mediante registrazione o brevettazione.

  • Come si calcola il valore

Il valore di un marchio aziendale viene determinato seguendo una procedura specifica, che si sviluppa in tre fasi successive. La prima consiste in un esame preliminare che serve ad accertare la sussistenza di un valore autonomo del marchio; quest’ultimo esiste solo in presenza di determinate condizioni:

  • il marchio deve possedere tutte le prerogative per la registrazione;
  • il monopolio sul marchio deve appartenere esclusivamente all’azienda che detiene il segno e non deve essere in conflitto con l’indirizzo di terze parti;
  • il marchio può essere valutato se al centro di consistenti investimenti di promozione pubblicitaria (in altre parole, un marchio sconosciuto e mai promosso non può essere oggetto di alcuna valutazione).

Una volta esaurita questa fase preliminare, il processo di valutazione passa attraverso una procedura di due diligence. Da un lato, sono previste verifiche sul portafoglio marchi: gli incaricati devono controllare se si tratta di un marchio depositato o registrato. La differenza tra le due nozioni è molto sottile: un marchio si dice depositato quando viene presentata la domanda di marchio italiano presso una Camera di Commercio (o l’Ufficio Marchi e Brevetti); il richiedente ottiene un codice relativo a tutte le informazioni riguardanti il marchio. Quest’ultimo viene registrato in un secondo momento, quando gli accertamenti del caso dimostrano che le formalità burocratiche sono state espletate correttamente e il marchio possiede tutti i requisiti per l’idoneità alla registrazione. Il passaggio dal deposito alla registrazione può durare circa 18 mesi.

La seconda parte della due diligence è rivolta all’individuazione di marchi simili già depositati, registrati o presenti sul territorio nazionale; in aggiunta, le verifiche mirano ad individuare eventuale procedure di opposizione al marchio.

L’ultimo passaggio precedente la formulazione del valore del marchio è la scelta del metodo di valutazione. Questa è la fase più delicata, poiché manca un sistema di riferimento univoco ed universalmente riconosciuto come valido. I fattori che possono essere assunti come discriminanti di valutazione sono: le evidenze empiriche, i flussi finanziari o la stima economico-reddituale. Al netto del parametro (o dei parametri) prescelti, chi effettua l’esame e la stima del marchio aziendale deve parametrare i riscontri sulla base di un sistema di valutazione chiaramente leggibile, in forma sintetica o analitica, da parte di chi ha commissionato i controlli.

  • Cosa si intende per costo storico

Nel caso di un marchio acquistato da un precedente detentore, la stima del valore deve tener conto anche del cosiddetto “costo storico“. Si tratta, in sintesi, della spesa sostenuta inizialmente per l’acquisto del marchio, alla quale bisogna aggiungere costi accessori contestuali. La nozione di costo storico si applica principalmente ai beni immobili, specie se di carattere strumentale, ed è importante per le procedure di ammortamento a bilancio del bene stesso.

  • Chi effettua la perizia del marchio

La stima del valore di un marchio aziendale è una perizia tecnica che è consigliabile commissionare a figure specializzate. Nello specifico, questo genere di servizi può essere richiesto a studi di consulenza specialistica in diritto commerciale e proprietà industriale. La complessità della materia, infatti, impone la collaborazione con esperti del settore: il Codice della Proprietà Industriale individua i requisiti necessari per l’iscrizione all’albo dell’ordine dei consulenti in proprietà industriale.

L’abilitazione” – si legge nell’articolo 207 del Codice – “è concessa previo superamento di un esame sostenuto davanti ad una commissione”; è possibile essere ammessi all’esame di abilitazione se si è in possesso di un diploma di laurea, di un attestato di studi post-secondari di almeno tre anni oppure di un certificato che attesti lo svolgimento di un tirocinio professionale. Il ricorso alla consulenza specialistica si rende ancor più necessario se la perizia si inserisce nel più ampio quadro di una due diligence per fusione o acquisizione dell’azienda che detiene il marchio, in quanto quest’ultimo fa parte degli asset del target dell’acquisizione e il suo valore può orientare le strategia di contrattazione.

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PagoPA, cos’è e come funziona https://www.logicbid.com/blog/pagopa-come-funziona/ Fri, 03 Jan 2020 08:00:49 +0000 https://www.logicbid.com/blog/?p=669 Cos’è PagoPA e come si utilizza La moneta digitale e i metodi di pagamento online sono sempre più diffusi, tanto in ambito privato quanto nel settore pubblico. I vantaggi di entrambi consistono principalmente nella portabilità, ossia nella possibilità di essere utilizzati anche attraverso dispositivi mobili e applicazioni. I pagamenti digitali, e i relativi sistemi di gestione e implementazione degli stessi, possono essere effettuati praticamente ovunque, consentendo un notevole risparmio di tempo e talvolta anche di ...

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Cos’è PagoPA e come si utilizza

La moneta digitale e i metodi di pagamento online sono sempre più diffusi, tanto in ambito privato quanto nel settore pubblico. I vantaggi di entrambi consistono principalmente nella portabilità, ossia nella possibilità di essere utilizzati anche attraverso dispositivi mobili e applicazioni. I pagamenti digitali, e i relativi sistemi di gestione e implementazione degli stessi, possono essere effettuati praticamente ovunque, consentendo un notevole risparmio di tempo e talvolta anche di denaro, dal momento che spesso si evitano commissioni e costi aggiuntivi. Per alcuni pagamenti da corrispondere alla Pubblica Amministrazione è possibili utilizzare pagoPA: vediamo in seguito di cosa si tratta.

  • Cos’è PagoPA

Come si legge sul sito di riferimento (www.pagopa.gov.it), “pagoPA non è un sito dove pagare, ma una nuova modalità per eseguire tramite i Prestatori di Servizi di Pagamento (PSP) aderenti, i pagamenti verso la Pubblica Amministrazione in modalità standardizzata“. Nello specifico, pagoPA è un sistema per effettuare pagamenti elettronici verso qualsiasi ente della Pubblica Amministrazione (come ad esempio il pagamento del bollo auto alla regione od alla provincia autonoma che esige il tributo).

Per quanto concerne l’aspetto normativo, gli enti che fanno parte della Pubblica Amministrazione aderiscono al sistema pagoPA per legge (ed in particolare per le disposizioni dell’articolo 5 del Codice dell’Amministrazione Digitale) mentre gli istituti bancari e i PSP (Prestatori di Servizi di Pagamento) non sono obbligati dalla normativa ad adottare questo sistema di gestione dei pagamenti ma possono farlo su base volontaria, decidendo anche per quali servizi renderlo disponibile (addebito su conto corrente, carte di credito, etc.).

Il Codice definisce il sistema poi denominato pagoPA come “una piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le pubbliche amministrazioni e i prestatori di servizi di pagamento abilitati” messa a disposizione dall’AgID. La verifica della posizione debitoria effettuata dal sistema è in grado di prevenire l’erogazione di pagamenti non dovuti; inoltre, il sistema non prevede la possiiblità di riscuotere crediti maturati nei confronti delle Pubbliche Amministrazioni.

  • Come funziona

Il sistema pagoPA funziona in maniera piuttosto semplice. Non è un sito dove effettuare un particolare pagamento ma un’infrastruttura digitale di gestione dello stesso. Per tanto, quando bisogna versare un tributo o corrispondere una tassa verso un ente della pubblica amministrazione, la transizione viene gestita dal sistema tramite il cosiddetto “Nodo dei Pagamenti-SPC“, ovvero la “piattaforma tecnologica per l’interconnessione e l’interoperabilità tra le Pubbliche Amministrazioni e i Prestatori di Servizi di Pagamento” gestito dall’Agenzia per l’Italia Digitale.

Il cosiddetto “ciclo di vita del pagamento” inizia con il manifestarsi della necessità di estinguere un debito verso un ente della Pubblica Amministrazione entro una determinata scadenza. L’ente creditore è obbligato, per legge, ad indicare gli estremi per il pagamento elettronico degli importi dovuti e ad indirizzare l’utente verso la pagina web appositamente dedicata al pagamento online. Esempio: se bisogna pagare una multa, l’ente che deve riscuotere l’importo (il Comune) deve mettere a disposizione degli utenti una specifica pagina web per effettuare il pagamento. La pagina dovrà esporre il logo pagoPA per certificare l’utilizzo del sistema di gestione del pagamento che funziona sia tramite applicazione sia tramite i siti web dell’ente deputato alla riscossione o dell’istituto che eroga il servizio di gestione del pagamento. In altre parole, il sistema prende in carico l’operazione sia se si effettua quest’ultima tramite un app sul proprio cellulare (come ad esempio quella della propria banca) oppure se la transizione viene avviata direttamente dal sito dell’ente creditore.

Successivamente, il sistema genera un IUV, ossia l’Identificativo Unico di Versamento; si tratta di un codice che identifica l’operazione. La generazione dell’IUV è affidata ad un punto di generazione che viene definito come “qualsiasi entità, facente parte o meno dell’organizzazione dell’Ente Creditore, incaricata da questo di associare un codice IUV ad un unico pagamento presente nell’archivio dei pagamenti“. L’IUV è un codice strutturato in tre parti: Codice di segregazione, IUV base e IUV check-digit. Altra informazione che l’ente creditore è chiamato a fornire è la causale di pagamento, indicata sotto forma di sigla alfabetica che precede l’IUV.

  • Come pagare con PagoPA

Effettuare un pagamento con pagoPA è molto semplice; non vi è alcuna particolare procedura da seguire. Basta utilizzare i canali di pagamento digitale più comuni (applicazioni per dispositivi cellulari o siti web) e seguire le indicazioni per effettuare tutti i passaggi necessari. La differenza rispetto ad altre forme di pagamento online (come ad esempio l’acquisto di un prodotto su un sito di e-commerce) consiste nel fatto che l’utente deve autenticarsi.

Ciò significa che prima di autorizzare il pagamento, è necessario inserire i propri dati identificativi (come ad esempio username o password del proprio conto corrente bancario o postale o del profilo personale sul sito dell’ente deputato alla riscossione) oppure lo SPID, l’identificato gestito dal Sistema Pubblico di Identità Digitale (che può essere richiesto al sito spid.gov.it). Una volta inseriti i dati, se questi sono congruenti con quelli già registrati nel sistema, il pagamento viene autorizzato. Quando il trasferimento dei fondi è stato completato, l’utente riceve una comunicazione di conferma – o una ricevuta di attestazione vera e propria – via e-mail, contenente gli estremi di identificazione del pagamento, la data in cui è stato effettuato, l’importo (con relative commissioni di pagamento). È possibile pagare con pagoPA anche attraverso altri canali, come ad esempio il POS oppure gli sportelli ATM degli istituti bancari convenzionati e, più in generale:

  • presso le agenzie della propria banca;
  • utilizzando l’home banking del proprio istituto bancario (dove si trovano i loghi CBILL o pagoPA);
  • presso gli sportelli ATM della propria banca (se abilitati);
  • presso i punti vendita di SISAL, Lottomatica e ITB;
  • presso le Poste, se il canale è attivato dall’Ente Creditore che ha inviato l’avviso.

 

  • Tipi di pagamento possibili

Il sistema di pagamento elettronico pagoPA consente agli utenti che lo utilizzano di pagare tasse, tributi, utenze, quote associative, rette di vario genere, bolli e qualsiasi altra spettanza verso gli enti della Pubblica Amministrazione, siano essi centrali o locali. I pagamenti digitali gestiti da pagoPA posso essere diretti anche ad altri tipi di soggetti, come ad esempio le aziende a partecipazione pubblica, gli istituti scolastici, le Aziende Sanitarie Locali o le università.

Con il sistema pagoPA” – come riporta il sito ufficiale –  “si possono fare pagamenti verso tutti gli Enti della Pubblica Amministrazione, tutte le società a controllo pubblico e verso società private che forniscono servizi al cittadino purché aderiscano all’iniziativa“. Non è possibile, invece, pagare l’F24 con il pagoPA fin quando tale strumento di pagamento non verrà integrato nel sistema.

Tramite il circuito pagoPA è quindi possibile pagare, tra gli altri:

  • il bollo auto (tassa regionale per il possesso di un veicolo);
  • una sanzione amministrativa (multa per violazione del Codice della Strada);
  • un bonifico bancario o un bollettino postale;
  • un versamento con carta di credito o debito.

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